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Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149
Articolo 3 comma 52 lettera c)
Modifiche al codice di procedura civile

Il riconoscimento in capo agli arbitri di poteri cautelari presuppone peraltro anche la simmetrica previsione di adeguate garanzie di verifica e controllo dell’operato degli arbitri. A tal fine, mediante l’introduzione dell’articolo 818-bis c.p.c. si è inteso dare attuazione al principio della delega volto prevedere in questo ambito la disciplina del reclamo cautelare.

A questo proposito, viene stabilito che il reclamo si svolga davanti al giudice ordinario e, a tal fine, tenuto conto che la delega individua come ragioni per l’impugnazione della misura cautelare quelle indicate dall’articolo 829 del codice di procedura civile, si è ritenuto che per analogia sistematica sia corretto individuare quale giudice del controllo anche della misura cautelare la corte d’appello.

Quanto all’individuazione concreta della corte d’appello, la stessa è stata effettuata facendo riferimento al distretto ove è la sede dell’arbitrato, seguendo un evidente parallelismo con tutti gli altri casi di ausilio giudiziario e supporto al procedimento arbitrale, per i quali la disciplina del codice di rito fa riferimento, in primis, all’autorità giudiziaria del luogo dove è stabilita la sede dell’arbitrato (come previsto ad esempio dagli articoli 810, 811, 813, 814, 815 del codice di procedura civile).

Per quanto poi riguarda l’ambito concreto di estensione del reclamo, nel nuovo articolo 818-bis del codice di procedura civile non è stata prevista alcuna limitazione in relazione alla possibile tipologia di provvedimento arbitrale, così comprendendo tanto i casi di accoglimento quanto di rigetto della richiesta cautelare, ritenendosi che l’eventuale previsione della facoltà di reclamo unicamente per i casi di accoglimento della richiesta, oltre che non contemplata dalla legge delega, avrebbe potuto porsi in contrasto con i principi costituzionali, così come già dichiarato dalla Corte costituzionale con la sentenza 23 giugno 1994, n. 253, in relazione all’originaria limitata previsione dell’articolo 669 terdecies del codice di procedura civile.

Per altro verso (e come espressamente previsto dalla legge delega), la garanzia del reclamo viene dall’articolo 818-bis del codice di procedura civile limitata ai soli motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di rito, in quanto compatibili, oltre che al caso della contrarietà all’ordine pubblico. Tale previsione intende porsi in conformità con l’ambito di impugnazione nei confronti del provvedimento decisorio finale del giudizio, istituendo un parallelismo tra i possibili motivi di impugnazione del lodo, previsti nello specifico catalogo di errores in procedendo di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile, in quanto compatibili (e ciò tenuto conto che alcuni casi contemplati dalla norma appaiono estranei alla materia cautelare) e nella contrarietà all’ordine pubblico, di cui al terzo comma della stessa norma, e le possibili censure spendibili nei confronti del provvedimento interinale, che abbia accolto o rigettato la richiesta di misura cautelare. Anche a prescindere dal chiaro disposto della legge delega, non sarebbe stato logico, in effetti, attribuire in sede di reclamo cautelare un generale controllo di merito e con esso un sindacato più ampio di quello stabilito dal legislatore nei confronti del provvedimento decisorio finale del giudizio.

Ancora, l’avvenuto riconoscimento di poteri cautelari in capo agli arbitri impone anche di individuare la necessaria disciplina per l’attuazione dei provvedimenti stessi.

A questo riguardo, con l’introduzione dell’articolo 818-ter c.p.c. si è inteso dare specificazione e un più definito contenuto precettivo alla previsione, generale ma generica, contenuta nella legge delega, per la quale “Il giudice ordinario mantiene altresì la competenza per l’eventuale fase di attuazione della misura”. Si è così stabilito che “L’attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall’articolo 669 duodecies e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, se la sede dell’arbitrato non è in Italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. Resta salvo il disposto degli articoli 677 e seguenti in ordine all’esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. Competente è il tribunale previsto dal primo comma”.

In questo modo non soltanto si conferma l’idea per la quale le funzioni esercitate dagli arbitri sono sostanzialmente omologhe a quelle del giudice ordinario e che anche il provvedimento cautelare emanato dagli arbitri ha natura non differente da quella del corrispondente provvedimento emanato dal giudice ordinario, ma altresì che lo stesso deve dunque essere soggetto ad analoga disciplina anche con riferimento all’attuazione.

Il richiamo all’articolo 669-duodecies comporta dunque la previsione di una distinta modalità di attuazione, poiché, mentre con riferimento alle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro, l’esecuzione delle stesse avviene di fatto nelle forme previste dal libro terzo del codice di procedura civile, agli articoli 491 e seguenti in quanto compatibili, l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sempre sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, il quale determina anche le modalità di attuazione, e laddove sorgano difficoltà o contestazioni dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Questa stessa disciplina viene quindi applicata anche alle ipotesi dei provvedimenti cautelari emanati dagli arbitri, sia pure con riconoscimento dei necessari poteri già attribuiti agli arbitri stessi, sotto il controllo del tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. Il mantenimento, in capo al giudice ordinario, dei poteri necessari per l’attuazione del provvedimento cautelare risponde del resto alla constatazione generale, e universalmente condivisa, per la quale gli arbitri, in quanto soggetti privati, pur chiamati a rendere attraverso il proprio giudizio una funzione equivalente a quella della giurisdizione di cognizione, rimangono sprovvisti di ius imperii e così privati della spendita di poteri coercitivi, ciò che rende pertanto necessario fare riferimento, per la fase di attuazione ed esecuzione della misura, al giudice ordinario.

La sostanziale trasposizione della disciplina dell’attuazione dei provvedimenti cautelari anche all’ipotesi delle misure cautelari, concesse dagli arbitri, ha poi reso opportuna, all’interno dell’articolo 818-ter del codice di procedura civile, la previsione espressa, per l’esecuzione dei sequestri eventualmente concessi dagli arbitri, della salvezza del disposto degli articoli 677 e seguenti del codice di rito in ordine, ovvero di quelle specifiche disposizioni che sono in generale deputate all’attuazione dei sequestri. Anche a tal fine si prevede peraltro che competente sia il tribunale previsto dal primo comma dell’articolo 818-ter, ovvero sempre il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata.