Il criterio di delega di cui alla lettera o) del comma 12 della legge delega, che prescrive al legislatore delegato di “prevedere criteri per la determinazione dell'ammontare, nonché del termine di durata delle misure di coercizione indiretta di cui all'articolo 614-bis del codice di procedura civile; prevedere altresì l'attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di disporre dette misure quando il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna oppure la misura non è stata richiesta al giudice che ha pronunciato tale provvedimento”, impone diversi ordini di interventi sull’articolo 614-bis c.p.c..
Il primo concerne l’ammontare della somma che diviene dovuta – a seguito del provvedimento che la prevede – quando si verifichi l’inadempimento all’obbligo previsto nel titolo esecutivo.
A tal riguardo la previsione di cui al secondo comma del testo attualmente vigente è stata integrata con il richiamo al vantaggio che l’obbligato trae dall’inadempimento. È infatti pacifico che l’esecuzione indiretta ha la finalità di indurre l’obbligato all’adempimento volontario, in quanto l’inadempimento produce nella sua sfera giuridica conseguenze negative superiori ai vantaggi che egli trae dall’inadempimento. Pertanto, la misura coercitiva, per poter essere effettiva, deve essere commisurata principalmente a questo parametro. Il danno che l’inadempimento produce nella sfera giuridica dell’avente diritto assume invece un ruolo secondario, posto che l’esecuzione indiretta si aggiunge al – e non sostituisce il – risarcimento del danno prodotto dall’inadempimento.
Non è stato possibile determinare l’entità massima della sanzione pecuniaria, in quanto tale quantificazione esorbita da valutazioni di natura giuridica, investendo essenzialmente profili di politica legislativa. Se il governo riterrà opportuno, potrà valutare se inserire una determinazione quantitativa dei minimi / massimi della sanzione pecuniaria.
Un ulteriore intervento concerne la durata massima della misura coercitiva; in particolare si è integrato il primo comma della norma con un ultimo periodo, che consente al giudice di fissare un termine di durata della misura. Sembra evidente che una tale previsione ha rilevanza nei casi di inadempimento di un obbligo avente come contenuto una prestazione, mentre non ha rilevanza ove si tratti di un obbligo di astensione. In quest’ultimo caso, poiché la sanzione diviene operativa solo ove sia tenuto un comportamento contrario all’obbligo di astensione, non vi è necessità di assicurare che l’entità della somma da corrispondere non divenga esorbitante. Esemplificando: se ad un soggetto è fatto divieto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria, di chiudere a chiave un cancello o di suonare la tromba dopo le 23, non ha senso prevede un termine massimo di durata della misura esecutiva. In caso, invece, di obblighi positivi, può essere opportuno porre un limite massimo alla durata della misura coercitiva, e così alla somma complessiva che divenga dovuta. Non è infatti possibile che essa divenga perpetua. Esemplificando: se ad un soggetto è prescritto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria pari a X euro per ogni giorno di ritardo, di consegnare un certo bene, non è concepibile che la sanzione pecuniaria assuma entità stratosferiche.
La seconda previsione della legge delega è volta a porre rimedio ad una lacuna della normativa vigente che attribuisce al solo giudice, che pronuncia la condanna, il potere di concedere la misura coercitiva: ciò che produce l’inconveniente di penalizzare i titoli esecutivi diversi dalle sentenze di condanna, che pure la recente legislazione ha equiparato ai titoli esecutivi giudiziali – si pensi solo alla disciplina della mediazione e della negoziazione assistita – onde rendere appetibili gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Lo stesso deve dirsi per il lodo arbitrale.
In ossequio alla legge delega, che imponeva di attribuire tale potere al giudice dell’esecuzione, la norma richiama le disposizioni di cui all’esecuzione per obblighi di fare. Dopo la notificazione del precetto, l’avente diritto presenta il ricorso al giudice dell’esecuzione competente, il quale – sentite le parti – provvede a determinare la misura esecutiva.
Avverso tale provvedimento resta ovviamente proponibile l’opposizione agli atti esecutivi, mentre l’opposizione all’esecuzione può essere utilizzata nelle ipotesi di cui all’art. 615 c.p.c., anche nelle forme dell’opposizione a precetto.