L’articolo 473-bis.40 c.p.c., rubricato “Ambito di applicazione”, introduce nel Capo III, che disciplina le Disposizioni particolari, una Sezione interamente dedicata alle violenze domestiche o di genere.
L’allarmante diffusione della violenza di genere e domestica ha indotto il legislatore delegante a prevedere numerosi principi di delega finalizzati a evitare il verificarsi, nell’ambito dei procedimenti civili e minorili, aventi ad oggetto la disciplina delle relazioni familiari, ed in particolare l’affidamento dei figli minori, di fenomeni di vittimizzazione secondaria. La vittimizzazione secondaria si realizza quando “le stesse autorità chiamate e reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni della violenza” (cfr. relazione sulla vittimizzazione secondaria approvata il 20 aprile 2022 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, del Senato della Repubblica, Doc. XXII bis n.10). La mancata attenzione al tema della vittimizzazione secondaria è stata oggetto di specifici rilievi mossi alle istituzioni italiane nel rapporto GREVIO (Group of Expert on Action against Violence against Women and Domestic Violence, consultabile in https://www.coe.int/en/web/istanbul-convention/italy), redatto nel 2019 all’esito dell’attività del Gruppo di esperti chiamato a verificare l’applicazione della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 giugno 2013, n.
Il legislatore delegato nella consapevolezza che il contrasto alla violenza domestica non si realizza soltanto con le norme penali, ma anche, e forse soprattutto, nell’ambito dei procedimenti civili e minorili, ha dettato specifici criteri di delega indicati nelle lettere b), f), l), m), n), t), ff), del comma 23, della legge n. 206/2021 per garantire piena tutela alle vittime.
Per dare attuazione ai principi di delega richiamati è stata introdotta, nel Capo III, dedicato alle “Disposizioni particolari”, una intera Sezione, intitolata “Della violenza domestica o di genere”, per disciplinare i procedimenti nei quali una delle parti alleghi di essere vittima di violenza agita dal partner o dall’ex partner, o alleghi che vittima di violenza – anche nella forma della violenza assistita- o di abuso sia il figlio minore delle parti stesse. La scelta normativa intende sottolineare l’importanza che deve essere rivolta al contrasto a questa forma di violenza nell’ambito dei procedimenti disciplinati dal nuovo rito in materia di persone, minorenni e famiglie, creando una sorta di “corsia preferenziale” per tali giudizi, che dovranno avere una trattazione più rapida e connotata da specifiche modalità procedurali. In particolare, in attuazione del principio di delega contenuto nella lett. b), del comma 23 , l. n. 201/2021, sarà sufficiente che anche solo in uno degli atti introduttivi (nel ricorso, sia quando proposto dalla parte, sia quando proposto dal pubblico ministero, ovvero nella comparsa di costituzione) siano presenti allegazioni di violenza di genere o domestica, o di abuso, per garantire una trattazione più rapida del procedimento, con attenzione anche nelle fasi preliminari del giudizio a compiere un rapido accertamento sulla fondatezza dell’allegazione. La scelta di applicare le disposizioni in esame in presenza di mere allegazioni di violenza o di abuso, intese come mera affermazione della parte di essere stata vittima di episodi di violenza domestica, di genere o di abuso, ovvero la mera allegazione che tali condotte siano state poste in essere in danno del figlio minore delle parti, ha la sua ragion d’essere sulla necessità di intercettare al suo primo manifestarsi la volontà della possibile vittima di violenza di superare quello che è noto come il ciclo della violenza. È infatti noto che le vittime di violenza hanno difficoltà a denunciare e a uscire dalla situazione di violenza, a causa delle promesse di chi agisce violenza, tese a relegare l’agito violento ad un episodio momentaneo, non destinato a replicarsi, situazione che induce la vittima a non manifestare all’esterno la situazione di violenza vissuta tra le mura domestiche. Per questo, l’ordinamento, e in particolare i giudici civili e minorili, devono essere in grado di intercettare la richiesta di aiuto della vittima, non appena la stessa si manifesti, per scongiurare il rischio, che la mancata attenzione alla violenza e all’abuso, o peggio la sua sottovalutazione o negazione da parte delle istituzioni, possano indurre la vittima a ricadere nel ciclo della violenza, al quale aveva cercato di sottrarsi. I giudizi in materia di famiglia e di minori sono infatti il luogo privilegiato per l’emersione della violenza domestica, e le norme in esame hanno il fine di permettere al giudice di riconoscere ed intercettare la violenza, compiendo già dalle prime battute del giudizio accertamenti preliminare sulla sussistenza dei fatti di violenza o di abuso.
Le norme in esame prevedono, pertanto, che in presenza di allegazioni di violenza o di abuso, il procedimento venga trattato secondo una disciplina processuale connotata da specialità con il fine di verificare, già dalle prime fasi processuali, la fondatezza o meno delle allegazioni, affinché l’adozione dei provvedimenti, anche provvisori, non avvenga con formule stereotipate, ma solo dopo aver accertato, anche solo a livello di fumus, se l’allegazione di violenza sia fondata o meno. Per conseguire tale risultato è stato previsto un ampio coordinamento tra le diverse autorità giudiziarie civili, penali e minorili, dinanzi alle quali possono essere pendenti procedimenti relativi alle stesse parti. Fondamentale è il ruolo del pubblico ministero, che è parte nei procedimenti aventi ad oggetto la disciplina della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli dei genitori, ed è interveniente necessario nei giudizi di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e nei procedimenti di modifica che in ragione del ruolo può veicolare all’interno dei giudizi civili e minorili le risultanze degli accertamenti compiuti nell’ambito dei procedimenti penali. Le norme in esame prevedono, pertanto, che sia la stessa parte, sia quando ricorrente, sia quando convenuta, ad indicare negli atti introduttivi l’eventuale pendenza di procedimenti relativi alle condotte violente o di abuso, con onere di allegare oltre ai documenti che riterrà rilevanti tutte le risultanze degli altri procedimenti qualora pendenti (per esempio i verbali delle sommarie informazioni), ma è parimenti previsto che sia il giudice d’ufficio ad acquisire tali documenti, ovvero ad assumere, anche d’ufficio, ogni mezzo di prova (con piena garanzia del contraddittorio) per accertare la fondatezza o meno delle allegazioni. Le disposizioni in esame che onerano le parti e dispongono che il pubblico ministero e il giudice, comunichino con le altre autorità procedenti, e partecipino attivamente alla verifica della fondatezza delle allegazioni di violenza o di abuso ha il fine di garantire che l’adozione dei provvedimenti, già nelle fasi preliminare del giudizio, non avvenga se non prima di aver compiuto il necessario accertamento per verificare la fondatezza o meno delle allegazioni, poiché qualora emerga, anche a livello di fumus, che condotte violente sono state poste in essere il giudice dovrà adottare provvedimenti idonei a tutelare la vittima, dando piena applicazione all’art. 31 della Convenzione di Istanbul nel quale è previsto che il giudice tenga conto degli episodi di violenza “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli”.
Particolare attenzione è dedicata allo svolgimento dell’udienza per evitare che si realizzino forme di vittimizzazione secondaria, per esempio costringendo la vittima di violenza ad essere presente in udienza con il presunto autore della violenza senza l’adozione di particolare cautele, prevedendo espressamente che non possa essere compiuto tentativo di conciliazione (che per essere congruo ed efficace presuppone che le parti siano in posizione di parità, e non si subordinazione l’una rispetto all’altra come accade nelle relazioni contraddistinte da violenza), inibendo il ricorso alla mediazione, vietata in presenza di violenza domestica, e che il giudice non potrà sollecitare in presenza di allegazioni di violenza o di abuso (salva la possibilità di disporre l’invito alla mediazione e la conciliazione nel caso in cui nel corso del giudizio si ravvisi l’insussistenza dei fatti di violenza). Specifiche norme sono dettate per garantire che forme di vittimizzazione secondaria non si realizzino nel corso degli accertamenti demandati ai Servizi socio-assistenziali o sanitari, ovvero delle valutazioni rimesse ai consulenti tecnici d’ufficio. Quanto all’ascolto del minore, in presenza di allegazioni di violenza è richiesto che il giudice proceda a tale adempimento senza ritardo e personalmente, poiché, ferma la particolare natura dell’ascolto del minore, non riconducibile nell’alveo delle prove, nondimeno anche dalle dichiarazioni del minore possono emergere elementi a sostegno o meno dell’allegazione di violenza o di abuso, con attenzione a garantire il massimo coordinamento tra le diverse autorità giurisdizionali che possono essere chiamate a verificare i medesimi fatti (seppure nei diversi ambiti di competenza) per evitare che reiterati ascolti del minore, tra loro non coordinati, possano a loro volta rivelarsi forme di vittimizzazione secondaria.
Venendo all’esame delle singole norme, l’articolo 473-bis.40 c.p.c. delinea l’ambito di applicazione della Sezione I del Capo III, stabilendo che le disposizioni previste dalla stessa si applichino nei procedimenti in cui siano allegate condotte di violenza di genere o domestica poste in essere da una parte nei confronti dell’altra ovvero nei confronti dei figli minori delle parti, ovvero in presenza di condotte di abuso, che costituiscono una specifica categoria delle condotte di violenza che merita espressa menzione, data la ricorrenza delle stesse nei procedimenti relativi ai minori. La scelta del legislatore delegato di non inserire nella norma un elenco di fattispecie nelle quali le disposizioni, della Sezione I, del Capo III, debbano applicarsi discende dalla necessità di evitare che inserendo un’elencazione, sia pure esemplificativa, alcune fattispecie possano non essere ricomprese nell’abito di applicazione delle nuove norme, che deve avere l’applicazione più ampia possibile. Per esempio, l’elencazione contenuta nel vigente art. 64-bis disp. att. c.p.p. che disciplina la trasmissione dei provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria penale a quella civile (che indica i delitti previsti dall’art. 575 c.p., nella forma tentata, o i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p., nonché dagli articoli 582 e 583 quinquies c.p. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, c.p.), potrebbe non comprendere alcune condotte, quali ad esempio le percosse (sanzionate dall’art. 581 c.p.), ovvero tutte le forme di violenza c.d. economica, forma di violenza compresa nell’ambito applicativo della Convenzione di Istanbul, che si realizza quando il coniuge ovvero il genitore, pur avendo disponibilità di mezzi si sottrae agli obblighi di assistenza o mantenimento (condotte sanzionate penalmente sia dall’art. 570 c.p., sia dall’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970). L’ampia nozione richiamata dall’art. 473-bis.40 permetterà di consentire una più diffusa applicazione delle disposizioni in esame, in presenza di tutte le forma di violenza, fisica, economica, psicologica, in aderenza a quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul. Inoltre, permetterà al giudice di attivare la “corsia preferenziale” riconosciuta per i procedimenti con allegazioni di violenza o di abuso, anche a prescindere dalla necessità di ricondurre le condotte allegate a specifiche ipotesi di reato, poiché il diverso ambito di accertamento proprio dei giudizi civili e minorili, rispetto a quelli penali, potrà far ritenere sussistenti ipotesi di violenza o di abuso rilevanti per la disciplina dell’affidamento dei minori o per l’accertamento dell’addebito della separazione, anche in presenza di cause di estinzione del reato (per esempio in presenza di prescrizioni) o in mancanza di condizioni di procedibilità (per esempio qualora si tratti di fatti perseguibili a querela di parte e i termini per la presentazione della querela siano spirati). È, infatti, di immediata evidenza come condotte violente, anche se non perseguibili penalmente, abbiano incidenza nei rapporti tra le parti, e debbano essere considerate per la valutazione delle domande di contenuto civilistico (addebito della separazione), ma soprattutto per la valutazione delle domande di affidamento dei minori, che presuppongono la valutazione della capacità genitoriale, in quanto un genitore violento con l’altro, non può essere considerato un buon genitore, avendo esposto i figli alla violenza assistita, e avendo veicolato un modello educativo distorto e che l’ordinamento ha il dovere di censurare.