La norma di cui all’articolo 473-bis.38 c.p.c. riguardante l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento costituisce estrinsecazione di una regola che traspare nell’intera legge delega e che viene specificamente considerata anche per il momento attuativo e di esecuzione dei provvedimenti. Al comma 23 lett. ff) ultimo inciso, la legge delega testualmente prevede di “dettare disposizioni per individuare modalità di esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori, prevedendo che queste siano determinate dal giudice in apposita udienza in contraddittorio con le parti, salvo che sussista il concreto e attuale pericolo, desunto da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l’attuazione del provvedimento, che in caso di mancato accordo l’esecuzione avvenga sotto il controllo del giudice, anche con provvedimenti assunti nell’immediatezza, che nell’esecuzione sia sempre salvaguardato il preminente interesse alla salute psicofisica del minorenne e che l’uso della forza pubblica, sostenuto da adeguata e specifica motivazione, sia limitato ai soli casi in cui sia assolutamente indispensabile e sia posto in essere per il tramite di personale specializzato.
Ferma dunque restando la considerazione che l’attuazione dei provvedimenti a carattere personale nei processi della famiglia presenta connotati che impediscono di considerare applicabili le norme ordinarie del libro terzo del codice di rito, e di mantenere uno stretto controllo da parte del giudice della cognizione, il tema di fondo affrontato dal legislatore con simile previsione riguarda, in primo luogo, la necessità di agire tempestivamente per evitare che il provvedimento sull’affidamento della prole già emesso, o quello emesso durante il procedimento in corso, non venga concretamente attuato. La scelta normativa recepisce, in tutta evidenza, le sollecitazioni sovranazionali sul tema considerato che una legislazione conforme alla Convenzione Edu deve garantire l’effettività dei rimedi esistenti a tutela dei diritti fondamentali riconosciuti.
Infatti, la tempestività nell’attuazione dei provvedimenti in tema di affidamento è da tempo al centro delle valutazioni di adeguatezza degli strumenti messi in campo dall’ordinamento per la tutela dei legami familiari significativi in caso di separazione e divorzio.
La Corte Edu ha più volte ritenuto che i giudici nazionali non abbiano adottato le misure idonee a creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita in quanto il relativo provvedimento, a fronte di difficoltà esecutive o comportamenti oppositivi dell’altro genitore, spesso è rimasto privo di concreta esecuzione.
La Corte, in diversi casi, ha ritenuto “che i giudici interni non hanno adottato delle misure concrete e utili volte all'instaurazione di contatti effettivi, e hanno poi in altri casi tollerato che attraverso il comportamento di uno dei genitori venisse di fatto impedita l'instaurazione di una vera relazione tra genitore non affidatario e minore”.
Per cogliere, quindi, l’occasione e la necessità di un intervento regolatore della disciplina del controllo del giudice sull’effettività degli strumenti del processo a tutela della bigenitorialità in generale ed in particolare del singolo provvedimento adottato in tema di affidamento si è costruita una disciplina che declina la fase attuativa dei provvedimenti in questione.
Sono state selezionate le ipotesi di intervento giurisdizionale fino all’uso della forza pubblica, da considerarsi però quest’ultima come scelta residuale e non altrimenti evitabile nei casi di assoluta necessità.
Andando al dettaglio delle previsioni, il primo e il secondo comma individuano il giudice al quale rivolgersi nei casi in cui siano sorti contrasti tra le parti in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o comunque sorgano impedimenti o difficoltà, anche oggettive, che non consentano l’attuazione del provvedimento di affidamento del minore.
La declinazione della competenza, secondo un criterio logico ed ispirato a scelte di ragionevolezza sostanziale, riguarda le ipotesi di pendenza o meno del procedimento e i casi nei quali venga instaurato un nuovo procedimento tra le parti. In pendenza del procedimento sarà il giudice titolare ad essere competente per l’attuazione del provvedimento in questione. Qualora non penda alcun procedimento, la risoluzione di ogni difficoltà esecutiva va richiesta al giudice che ha emesso il provvedimento. A tale criterio si deroga nel caso in cui il minore abbia trasferito la sua residenza altrove, nel qual caso si applica il criterio di cui all’articolo 473 bis.11 c.p.c.
Il legislatore ha previsto, sempre nel secondo comma, l’ulteriore concreta ipotesi che venga instaurato un nuovo e diverso procedimento tra le parti avente ad oggetto la responsabilità genitoriale, privilegiando la necessità, in questo caso, di una concentrazione di “competenze” in capo al giudice del merito in capo al quale verrà trasferita la causa avente ad oggetto l’attuazione del provvedimento in precedenza adottato.
In quest’ultimo caso, ferma la competenza del “giudice dell’attuazione” di assumere i provvedimenti urgenti e necessari nell’interesse del minore, si prevede la trasmissione dinanzi al giudice del procedimento di nuova instaurazione con possibilità di conferma, modifica o revoca di quanto disposto.
La disciplina così costruita risponde all’esigenza di individuare un unico giudice competente ad intervenire, favorendo, al contempo, la tempestività dell’intervento attuativo e la conservazione degli effetti dei provvedimenti emessi.
La scelta compiuta dal legislatore, del tutto assimilabile a quanto già previsto dall’articolo 38 disp. att. del c.c., affonda la sua ratio nell’esigenza di prevedere un reticolato di disposizioni in grado di evitare spazi di inerzia e difficoltà nell’individuazione del giudice competente a pronunciarsi sull’esecuzione di provvedimenti già emessi a fronte dell’introduzione di successivi procedimenti giurisdizionali connessi con l’accertamento già compiuto.
Il terzo comma disciplina il procedimento, prevedendo che in seguito alla presentazione del ricorso, il giudice deve instaurare il contraddittorio con i genitori, gli esercenti la responsabilità genitoriale, il pubblico ministero, il tutore il curatore e curatore speciale se nominati. Qualora le parti non riescano ad accordarsi sulle modalità di attuazione del provvedimento, il giudice potrà provvedere d’ufficio all’emissione dei provvedimenti per l’attuazione ritenuti opportuni. Anche nella fase esecutiva le parti possono, ancora una volta, avere la possibilità di collaborare spontaneamente all’attuazione del provvedimento. Una volta però naufragata tale possibilità, il giudice esercita il suo potere regolativo fino all’ultima scelta, assolutamente residuale, di autorizzare l’utilizzo della forza pubblica secondo quanto previsto dal successivo quinto comma.
La scelta di giovarsi dell’ausilio della forza pubblica viene, infatti, rigidamente ancorata dal legislatore alla coesistenza di due elementi di valutazione: 1) l’assoluta indispensabilità del ricorso ad essa; 2) la salvaguardia della tutela psicofisica del minore.
I richiamati elementi devono essere trasfusi nella motivazione del provvedimento che dispone per l’intervento della forza pubblica. Il legislatore ha posto l’accento sia sull’an che sul quomodo di tale intervento prevedendo che esso venga posto in essere sotto la vigilanza del giudice e nella considerazione di tutte le peculiarità del caso concreto, anche con il sostegno di personale socio-sanitario, questa assoluta novità dell’intervento, qualora ritenuto necessario.
Il legislatore individua questa scelta come extrema ratio a fronte della impossibilità di eseguire il provvedimento, tanto da richiedere contestualmente una motivazione specifica riguardante il bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti, l’utilizzo delle cautele richieste dalle circostanze, l’impossibilità di procedere altrimenti.
Per chiudere il cerchio sulle possibili categorie di comportamenti idonei a richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria a garanzia del disposto affidamento il legislatore, al sesto comma dell’articolo in commento, prevede una specifica ipotesi di intervento incisivo e ufficioso del giudice nel caso sussista il pericolo desunto da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore ovvero di altre condotte in grado di minare l’attuazione del richiamato provvedimento. In questi casi è previsto che il giudice, con decreto e senza convocare preventivamente le parti, possa dettare le regole per l’attuazione del provvedimento, fissando al contempo l’udienza, da tenersi nei successivi quindici giorni, all’esito della quale potrà, con ordinanza, confermare, modificare o revocare il decreto precedentemente emesso. Avverso l’ordinanza è poi ammessa opposizione, da proporsi con le forme di cui all’articolo 473-bis.12 c.p.c.
La tempestività in funzione della sicurezza del minore è il fulcro della descritta disciplina. A confermarlo è la modalità prescelta per procedimentalizzare l’ipotesi attuativa nei casi descritti. Si pone l’accento sulla possibilità di un intervento senza convocare le parti perché, in tutta evidenza, dalla preventiva comunicazione del procedimento di attuazione, potrebbe derivare l’impossibilità di eseguire il provvedimento. Così come congegnata la disciplina in questione risponde all’esigenza funzionale di provvedere in via prioritaria alla tutela immediata del minore, ma garantendo parallelamente le esigenze del diritto di difesa attraverso l’efficace e immediato ripristino del contraddittorio a richiesta di parte per incidere sul contenuto del decreto.