La norma di cui all’articolo 473-bis.29 c.p.c. corrisponde a un principio generalmente riconosciuto nell’ordinamento (pur se sino a oggi, nella complessiva differenziazione dei riti, evidenziato soprattutto per i giudizi di separazione, divorzio, scioglimento delle unioni civili e i procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio) per il quale i provvedimenti, anche definitivi, che dettano una regolamentazione giuridica al flusso di rapporti personali e patrimoniali intercorrenti tra le parti o tra le stesse e la prole (si pensi, tra i molti esempi, alle decisioni relative all’assegno di mantenimento o divorzile, a quelle relative all’assegnazione della casa familiare, alle modalità di affidamento dei figli minori e di mantenimento degli stessi e di quelli anche maggiorenni non economicamente indipendenti) vengono sempre emanati rebus sic stantibus, e pertanto in relazione a un preciso quadro fattuale e istruttorio delineatosi in seno al processo e cristallizzatosi, da un punto di vista temporale, al momento della rimessione della causa in decisione.
Il successivo fisiologico modificarsi di tale quadro di riferimento e la sopravvenienza di nuove circostanze può dunque alterare in modo anche significativo la prospettiva in base alla quale i provvedimenti sono stati in origine assunti, e conseguentemente determinare la necessità di modificarle per adattarle alla nuova situazione venutasi a creare.
La norma in esame si pone quindi nel solco del generale necessario raccordo e coordinamento delle disposizioni che devono regolamentare il nuovo rito unitario, e trova una giustificazione anche formale (pur se implicita) nella stessa legge delega, all’articolo 1, comma 23, lett. hh) (“introdurre un unico rito per i procedimenti relativi alla modifica delle condizioni di separazione ai sensi dell’articolo 711 del codice di procedura civile, alla revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e alla modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati…”) che nel prevedere la necessità di introdurre un rito unitario anche per i giudizi di modifica e revisione di fatto riconosce la possibilità che le statuizioni finali possano essere oggetto di tale modifica e revisione.
In questa prospettiva, si è ritenuto opportuno introdurre una disposizione fondamentalmente di principio (relativa ai presupposti e alle condizioni perché il giudizio di revisione e modifica possa essere instaurato), in quanto, per quanto concerne l’individuazione del rito applicabile a tali forme di giudizi, valgono le norme generali relative al procedimento unitario.