Lettera a)
Con riguardo alla disciplina della trattazione del ricorso per cassazione, il riordino viene disciplinato in primo luogo attraverso la previsione dei casi in cui la Corte procede in udienza pubblica. Dando attuazione al principio direttivo di cui alla lettera f), si prevede che la Corte vi potrà ricorrere quando la questione di diritto è di particolare rilevanza. La decisione con sentenza secondo il rito della pubblica udienza rimane, dunque, residuale. L’udienza pubblica resta per un’area di cause quantitativamente ristretta, ma di alto livello qualitativo: cause nelle quali la Corte esercita la sua funzione fondamentale di unificazione dell’interpretazione delle norme di diritto. Nella tessitura del nuovo testo dell’articolo 375 c.p.c., l’individuazione dei casi in cui la Corte pronuncia in pubblica udienza compare nell’apertura della disposizione, al primo comma. Nel testo attuale l’apertura della disposizione è dedicata ai casi in cui la Corte pronuncia con ordinanza in camera di consiglio, essendo il ricorso alla udienza pubblica affidato, nell’ultimo comma, ad una norma di chiusura. Diversamente, nella bozza che si propone l’incipit è dedicato alla udienza pubblica. Con ciò non si è inteso modificare il rapporto tra regola (la camera di consiglio) ed eccezione (l’udienza pubblica). L’udienza pubblica rimarrà quantitativamente residuale. Piuttosto, l’intervento di restyling nella collocazione topografica risponde all’esigenza di individuare in positivo quando il ricorso viene trattato in udienza e quando in camera di consiglio. Esigenze di razionalizzazione hanno indotto a prevedere che, se la questione di diritto è di particolare importanza, anche i ricorsi per regolamento di competenza e di giurisdizione potranno essere decisi in udienza pubblica: si pensi alle grandi questioni di riparto sollevate con regolamento preventivo o, ancora, alle, talvolta complesse, questioni di diritto internazionale privato quando si discute dell’ambito della giurisdizione italiana. Lo stesso regime – per espressa previsione – si applica ai ricorsi per revocazione e per opposizione di terzo delle pronunce della cassazione: vale la regola della camera di consiglio, ma se la questione di diritto implicata è di particolare rilevanza, la decisione avverrà in pubblica udienza. Più in particolare, la prevista trattazione dei regolamenti di competenza e di giurisdizione, in alcune occasioni, in udienza pubblica, è giustificata dalla possibile particolare rilevanza della questione di diritto con essi veicolata. Quella stessa particolare rilevanza che, per i ricorsi ordinari, determina la fissazione in udienza pubblica, vale per i regolamenti di competenza e di giurisdizione.
Già oggi, per i regolamenti di competenza, se su una questione di competenza si forma un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni ordinarie della Corte, il relativo regolamento viene deciso in sezioni unite e in pubblica udienza, con sentenza, non con il rito della camera di consiglio, con ordinanza.
La novità è, semmai, per i regolamenti preventivi di giurisdizione. Ma anche i regolamenti preventivi possono presentare, e talora presentano, una questione di massima di particolare importanza: si pensi al riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in tema di lesione del legittimo affidamento del privato, dopo l’intervento dell’Adunanza Plenaria. Anche in questi casi, quindi, appare opportuno consentire la trattazione del procedimento in pubblica udienza; cosa che peraltro a livello organizzativo non comporterebbe difficoltà di sorta, considerato il ristrettissimo numero di casi che meritano questo particolare canale.
Dando attuazione al criterio direttivo di cui alla lettera b) del comma 9, dell’unico articolo della legge delega, e recependo una prassi in questo senso, il nuovo articolo 375 estende la pronuncia in camera di consiglio all’ipotesi in cui la Corte riconosce di dover dichiarare l’improcedibilità del ricorso. La semplificazione del modulo camerale risponde a puntuali principi e criteri direttivi della delega. Essi si compendiano nella unificazione dei riti camerali, attualmente disciplinati dall’art. 380-bis e dall’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., cioè dei due procedimenti che sono utilizzati per la trattazione delle adunanze, rispettivamente, innanzi alla sesta sezione e alle sezioni semplici, e nella soppressione della «apposita sezione» di cui all’art. 376 cod. proc. civ., introdotta a decorrere dal 4 luglio 2009 ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69. Tale norma ha subito un’ulteriore modifica per la necessità di allineare il nuovo istituto della revocazione previsto dall’articolo 391- quater alla disciplina generale relativa al procedimento dinanzi alla Corte di cassazione con le dovute previsioni caratterizzanti. Si è previsto che il procedimento in questione si svolga in pubblica udienza. Tale scelta si giustifica, pur in assenza di indicazioni specifiche del legislatore delegante, in ragione della particolare rilevanza del nuovo istituto, che quindi merita tale forma di trattazione.
Lettera b)
L’intervento sull’articolo 376 c.p.c. è di carattere minimale. Essendo stata soppressa l’apposita sezione (la sesta civile), si è stabilito che il primo presidente assegna i ricorsi alle sezioni unite o alla sezione semplice. Mentre la parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a quindici giorni prima dell'udienza o dell’adunanza, per il P.M. rimane ferma la possibilità di sollecitare la rimessione alle sezioni unite, anche durante la discussione nel corso dell’udienza pubblica, ovvero – per i soli procedimenti avviati alla trattazione camerale – di norma con le conclusioni depositate nel termine previsto dall’articolo 380-bis.1.
Lettera c)
Per quanto attiene alla fissazione dell’udienza pubblica, si è ritenuto opportuno, muovendosi nell’ambito dei criteri dettati dalla lettera f) della delega, modificare il secondo comma dell’articolo 377 c.p.c. attraverso l’aumento da venti a sessanta giorni del termine che deve intercorrere tra la comunicazione ai difensori delle parti e al pubblico ministero della data fissata e l’udienza medesima; anche se il testo originario dell’articolo 377 non prevedeva espressamente l’onere di comunicazione al PM, era chiaro che quest’ultimo dovesse avere piena conoscenza della data fissata per l’udienza o per l’adunanza, al fine di intervenire o formulare le sue conclusioni scritte. La legge delega prevede, al riguardo, un anticipo fino a quaranta giorni prima dell’udienza. È parso opportuno allungare detto termine a sessanta giorni, per una esigenza di armonizzazione con i termini previsti per le memorie. L’allungamento del termine è, dunque, in funzione della realizzazione di un contradditorio più esteso. Si tratta di una previsione che recepisce una prassi organizzativa frutto di un protocollo condiviso tra la Prima Presidenza della Corte, la Procura Generale, il Consiglio nazionale forense e l’Avvocatura generale dello Stato, e che comunque non determina un aggravio per le parti, né per la durata del processo. L’anticipazione del termine per la comunicazione è parsa utile, anche per consentire di spostare indietro, come si dirà infra, il contraddittorio “cartolare” in vista dell’udienza o dell’adunanza, palesandosi sufficientemente agevole per il P.G., alla luce dell’obbligatorietà del deposito telematico, prendere immediata visione di tutti gli atti processuali in precedenza depositati dalle parti, una volta ricevuta la detta comunicazione, non essendo del resto più prevista (con la novella dell’articolo 137 disp att. c.p.c.), la trasmissione a cura della cancelleria di una copia del ricorso o del controricorso e della sentenza impugnata al pubblico ministero (il c.d. “fascicoletto”).
Lettera d)
Recepisce una prassi interpretativa già invalsa la norma che nell’articolo 378 c.p.c. introduce la facoltà per il pubblico ministero di depositare una memoria prima dell’udienza. Il termine di almeno venti giorni prima dell’udienza è in linea con l’analoga previsione contenuta nel rito camerale. Viene elevato a dieci giorni prima il termine, previsto dall’art. 378 c.p.c., per il deposito delle memorie dei difensori delle parti, con un allineamento, anche questa volta, al termine di dieci giorni previsto nel rito camerale dall’art. 380-bis.1 c.p.c. Si è ritenuto opportuno unificare i termini per il deposito delle memorie, sia in vista dell’udienza pubblica che di quella camerale, la quale già oggi prevede un termine di venti giorni per il deposito delle conclusioni del P.M. e di dieci per il deposito delle memorie di parte (articolo 380-bis.1), palesandosi, da un lato, chiare le esigenze di semplificazione ed unificazione dei riti – pure espressamente imposte dalla delega (art. 1, comma 9, lett. b) – e, dall’altro, non ravvisandosi necessità alcuna di mantenere una differenziazione dei detti termini, a seconda che la trattazione del ricorso sia destinata a sfociare in udienza pubblica o in adunanza camerale. Anche per le memorie delle parti in prossimità dell’udienza si prescrive che debbano essere sintetiche e avere carattere illustrativo. Il principio generale di sinteticità degli atti di parte esplica così la sua portata irradiante non solo con riguardo agli atti introduttivi del giudizio di cassazione, ma anche in relazione agli atti difensivi in prossimità della udienza. Quanto alla funzione meramente illustrativa delle memorie, si tratta di una acquisizione giurisprudenziale coerente con l’idea che con esse il ricorrente, ad esempio, non può dedurre nuovi motivi di ricorso o sanare carenze dell’atto introduttivo. Per la memoria del pubblico ministero non si specifica che debba essere sintetica. La ragione di ciò è da rinvenire nel fatto che non c’è necessità di introdurre una regola quando non v’è una esigenza avvertita: e l’esperienza è nel senso che non vi sono memorie del pubblico ministero caratterizzate da eccessiva lunghezza. Ma vi è anche un’altra ragione. Mentre le parti hanno già depositato ricorso e controricorso, il pubblico ministero interloquisce per la prima volta proprio con la memoria.
Inoltre, l’adeguamento delle disposizioni sul giudizio di legittimità al deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte ha comportato l’eliminazione di ogni riferimento al deposito «in cancelleria», quale precisazione modale coerente con il deposito analogico degli atti e documenti di parte, ma non rispetto al deposito telematico, per cui l’atto o documento digitale (nativo o meno) va inserito, per l’appunto, nel fascicolo informatico e si rende visibile alla controparte processuale costituita in giudizio o a chi intenda costituirsi o intervenire nel giudizio stesso (articolo 27 d.m. n. 44/2011). Tale soppressione ha interessato, tra l’altro, l’articolo 378 c.p.c.
Lettera e)
Il rito dell’udienza pubblica riceve alcuni ritocchi in un’ottica di semplificazione, speditezza e razionalizzazione. Attualmente l’articolo 379 c.p.c. prevede che nell’udienza pubblica il relatore riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso. Il testo proposto si apre invece con una relazione conformata dal principio di sinteticità e funzionalmente orientata a far emergere i temi della discussione orale. Si prevede infatti che il relatore all’udienza espone in sintesi le questioni della causa. La disposizione è mutuata dalla analoga previsione delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale. Rimane fermo l’ordine della discussione, con il pubblico ministero che interviene per primo esponendo oralmente le sue conclusioni motivate e i difensori delle parti che svolgono poi le loro difese, come pure l’esclusione della possibilità di repliche. Si introduce la previsione che affida al presidente il compito di dirigere la discussione, indicandone ove necessario i punti e i tempi. Si è poi ritenuto opportuno inserire nella norma, quale primo comma, l’espressa previsione secondo cui l’udienza si svolge sempre in presenza, al fine di escludere la possibilità di trattazione dell’udienza pubblica in forma cartolare, in considerazione della sua particolare importanza e solennità e alla luce del fatto che essa è ormai destinata a trovare applicazione solo quando la questione di diritto sottoposta all’attenzione della Corte è «di particolare rilevanza» e quindi in un ristretto novero di ipotesi. Parallelamente, si è ritenuto opportuno prevedere, con l’introduzione dell’articolo 140 bis disp. att. c.p.c., che la camera di consiglio si svolge in presenza, consentendo però al presidente del collegio – in considerazione delle specificità che caratterizzano la Corte di cassazione – di disporne lo svolgimento mediante collegamento audiovisivo a distanza, per esigenze di tipo organizzativo (si pensi, ad esempio, a casi di riconvocazione della camera di consiglio quando il collegio è composto da consiglieri che potrebbero essere impossibilitati a recarsi a Roma).
Lettera f)
Si è infine ritenuto opportuno introdurre nell’articolo 380 c.p.c. la previsione secondo cui la sentenza è depositata nel termine di novanta giorni: quella in esame era l’unica ipotesi in cui non fosse previsto un termine per il deposito del provvedimento; termine che è stato fissato nella misura indicata in considerazione del fatto che il termine per il deposito delle sentenze di appello è di sessanta giorni, e che all’udienza pubblica sono riservate questioni di diritto di particolare rilevanza, il che necessariamente richiede un maggiore lasso di tempo per la redazione della sentenza, anche alla luce delle ricadute che questa ha nell’applicazione del diritto da parte dei giudici di merito.
Lettere g), h) e i)
Si prevede la riscrittura dell’articolo 380-bis c.p.c., con l’abrogazione del procedimento camerale in atto utilizzato davanti alla sesta sezione, come disciplinato, appunto, dall’articolo 380-bis c.p.c.
Parallelamente, si prevede un unico rito camerale, quello attualmente dettato dall’articolo 380-bis.1 c.p.c. L’unificazione dei riti camerali avviene, dunque, nel segno della prevalenza del procedimento dettato dall’articolo 380-bis.1 c.p.c. Nel progetto che si propone con riguardo al rito della camera di consiglio, muta però la rubrica dell’articolo 380-bis.1 c.p.c.: il procedimento per la decisione in camera di consiglio non si riferisce soltanto alla sezione semplice, ma anche alle sezioni unite. Al riguardo, nessuna novità sostanziale di rilievo, solo una razionalizzazione dell’esistente.
Il procedimento ex articolo 380-bis.1 è destinato, per la sua vocazione unificante, ad assorbire il rito per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza: in funzione del raggiungimento di obiettivi di semplificazione e di razionalizzazione, l’articolo 380-ter c.p.c. – nel testo elaborato – prevede, ora, che nei casi di ricorso per regolamento di competenza e giurisdizione, si applica l’articolo 380 bis.1. L’unica particolarità è che nei regolamenti di competenza e di giurisdizione il pubblico ministero deposita sempre le sue conclusioni scritte (nel termine stabilito dall’articolo 380-bis.1 c.p.c.), laddove, negli altri casi in cui si ricorre al procedimento camerale, il pubblico ministero ha la facoltà di depositare le sue conclusioni scritte.
Il procedimento ex articolo 380-bis.1 c.p.c. rimane regolato secondo la disciplina attualmente in vigore, ma sono state previste alcune modifiche per renderlo maggiormente rispondente alle finalità della legge delega. Esso diventa più disteso, giacché le parti verranno notiziate dell’adunanza sessanta giorni prima (anziché quaranta giorni prima). L’ampliamento del termine appare più confacente ad un procedimento destinato ad applicarsi in una indefinita varietà di casi, diversi tra di loro e da quello in cui ricorre la particolare rilevanza della questione di diritto. Coerente con il principio di sinteticità degli atti è, poi, la previsione secondo cui le memorie – che le parti hanno facoltà di depositare non oltre dieci giorni prima dell’adunanza – devono essere sintetiche e avere carattere illustrativo. Ottempera ad un criterio direttivo della delega la previsione della semplificazione della fase decisoria del procedimento camerale, con l’introduzione del modello processuale della deliberazione, motivazione contestuale e deposito del provvedimento. Al termine della camera di consiglio, l’ordinanza, succintamente motivata, può essere immediatamente depositata in cancelleria; rimane ferma la possibilità per il collegio di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, in attuazione di quanto previsto dalla lettera d).
Per quanto riguarda, in particolare, i termini del rito camerale, la proposta normativa è volta a soddisfare l’esigenza di agevolare, nei casi che lo meritano, l’intervento con le conclusioni scritte del pubblico ministero, e di favorire, quindi, il contraddittorio scritto tra le parti. Per la Corte di cassazione questo non costituisce un aggravio, in quanto già oggi le camere di consiglio vengono fissate con almeno due mesi di anticipo. Del resto, il rito della camera di consiglio rappresenta il rito ordinario: una sorta di contenitore neutro destinato ad ospitare tutti i ricorsi nei quali non si pone una questione nomofilattica. Ma escludere la particolare importanza della questione di diritto non significa che il ricorso sia bagatellare: molti ricorsi complessi, con parecchi motivi di impugnazione, vengono decisi in camera di consiglio.
Sotto questo profilo, l’allungamento del termine solo apparentemente sembra porsi in controtendenza rispetto all’obiettivo della semplificazione.
Più in generale, ed anche con riguardo all’udienza pubblica, dove il termine fisso di quaranta giorni prima, previsto dalla legge delega, è stato elevato a sessanta, l’idea sottostante la proposta di modifica è stata quella di semplificare nel segno dell’uniformità, consentendo un contraddittorio più disteso in preparazione dell’udienza, in questo senso ratificando una prassi già invalsa. È chiaro che quando si tratti di un termine che deve essere osservato dalle parti, la previsione della legge delega non può essere ristretta dal legislatore delegato, perché ciò significherebbe un aggravio per il diritto di difesa. Diversamente deve però ritenersi quando il termine riguardi un adempimento dell’ufficio: quanto tempo prima il presidente deve fissare l’udienza e la camera di consiglio. In questo caso l’ampliamento del termine previsto dalla legge delega va a tutto vantaggio dell’esercizio del diritto di difesa, che gode di termini più ampi, e senza detrimento per la durata complessiva del processo, considerando gli ordinari tempi di trattazione dei ricorsi; basti pensare, al riguardo, che davanti alle sezioni unite civili i ricorsi – sia in udienza pubblica che in camera di consiglio – sono già stati fissati fino a tutto il 6 dicembre 2022, con adempimenti di cancelleria già espletati. In questo caso ben pare possibile una deroga alla previsione della legge delega, in nome di una sua attuazione non meramente formale ma, piuttosto, teleologica, ossia improntata alla migliore realizzazione dello scopo perseguito dal legislatore: semplificazione, effettività, tutela del contraddittorio.
Nessun allungamento dei tempi della decisione, quindi, ma solo la conferma di una anticipazione negli adempimenti di cancelleria, oggi resa possibile dal sistema telematico.
Scompare la sesta sezione con il suo rito, ma non viene meno la funzione di filtro finora assicurata da quella apposita sezione. Per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili e manifestamente infondati, il testo elaborato introduce, in attuazione di una precisa indicazione della legge delega contenuta nella lettera e), un procedimento accelerato rispetto a quello ordinario.
Nella sede finora destinata ad accogliere, con l’articolo 380-bis, il rito di sesta, nasce un nuovo virgulto. Quando non è stata ancora fissata la data della decisione in udienza o in camera di consiglio, il presidente della sezione o un consigliere da questo delegato formula una sintetica proposta di definizione del giudizio ove ravvisi l’inammissibilità, l’improcedibilità o la manifesta infondatezza. La proposta di definizione del ricorso dovrà essere comunicata agli avvocati delle parti. Le parti sono chiamate a valutare la proposta di definizione del ricorso. Se entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta la parte non chiede la decisione, il ricorso si intende rinunciato. In proposito si è ritenuto opportuno concedere alle parti uno spatium deliberandi più ampio di quello di venti giorni previsto dalla legge delega, in quanto questo non si traduce in un grave allungamento dei tempi di definizione del procedimento (anche considerato il lasso di tempo usualmente decorrente tra il provvedimento di fissazione dell’adunanza e la data in cui questa si tiene) e il breve termine indicato dal legislatore delegante potrebbe rivelarsi insufficiente per una compiuta disamina delle questioni poste e una scelta meditata e consapevole, anche in considerazione di quanto si dirà in seguito in ordine alla necessità che l’istanza sia sottoscritta dalla parte personalmente, alla luce delle gravi conseguenze derivanti da una decisione in senso conforme alla proposta di definizione. Il presidente o il consigliere della sezione pronuncia quindi decreto di estinzione, liquidando le spese, con esonero, in favore della parte soccombente che non presenta la richiesta di fissazione della camera di consiglio, dal pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione previsto dall’articolo 13, comma 1-quater, del testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (disposizione, quest’ultima, inserita nel testo unico per ragioni di coerenza sistematica).
Non si tratta di una sorta di parziale ultrattività del rito camerale di sesta all’estinzione dell’ambiente in cui era stato previsto. La novità è, infatti, nel meccanismo di rinuncia al ricorso, che consente alla parte di essere sollevata dall’onere di pagamento di una somma pari all’importo del contributo unificato.
Il testo elaborato assegna un ruolo centrale nella definizione del ricorso al presidente della sezione o al consigliere da questo delegato attraverso la redazione di una proposta che, se accettata dal ricorrente, non dovrà più essere sottoposta al vaglio della camera di consiglio. Infatti, preso atto della rinuncia manifestata per comportamenti concludenti attraverso la mancata richiesta della fissazione della camera di consiglio entro il termine di quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, il presidente o il consigliere delegato pronuncia il decreto di estinzione, liquidando le spese secondo i criteri generali, ma con il vantaggio, per la parte soccombente che si ritira, dell’esonero dal pagamento del raddoppio del contributo unificato.
Il testo sul modello accelerato predisposto sviluppa e completa il disegno prefigurato dalla legge delega, tenendo presenti gli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione avuti di mira dal legislatore delegante.
Ne è espressione la previsione secondo cui, a fronte della proposta di definizione proveniente dal giudice della Corte, la richiesta di decisione da parte del Collegio deve essere sottoscritta dalla parte e dal suo difensore. La proposta di inammissibilità, di improcedibilità o di manifesta infondatezza formulata dal presidente della sezione o da un consigliere da lui delegato prefigura, infatti, un esito negativo per il ricorso, con un’uscita anticipata dalla Corte. Per chiedere una ulteriore valutazione, da parte di un Collegio della Corte in camera di consiglio, occorre un atto di impulso processuale che coinvolga personalmente la parte ricorrente.
Ne è espressione, altresì, la previsione di conseguenze disincentivanti il seguito camerale a fronte di un filtro negativo effettuato da un giudice della Corte. Nel caso in cui la Corte definisca il giudizio in conformità alla proposta, infatti, si è ritenuto opportuno inserire un espresso richiamo all’applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 96, terzo e quarto comma, così come modificate in attuazione della delega: nel caso di decisione conforme alla proposta di definizione, quindi, la parte ricorrente sarà condannata al pagamento di una somma di denaro tanto in favore della controparte, quanto della cassa ammende. La previsione non risponde ad un intento punitivo o sanzionatorio, ma è la realistica presa d’atto del fatto che la giurisdizione è una risorsa limitata. Sicché appare conforme al sistema che il costo dell’aggravio per il servizio giustizia sia sostenuto da colui che, nonostante una prima delibazione negativa, abbia chiesto comunque una valutazione supplementare collegiale senza che ne sussistessero fondate ragioni.
Lettera l)
All’articolo 383 c.p.c. sono state portate mere modifiche di coordinamento: è stato abrogato l’ultimo comma, relativo alle ipotesi in origine previste dall’articolo 348-ter, in conseguenza dell’abrogazione di quest’ultimo.
Lettera m)
Si è ritenuto opportuno prevedere che la rinuncia al ricorso (articolo 390 c.p.c.) sia comunicata a cura della cancelleria alle parti costituite, così da agevolarne la conoscenza, potendo essa intervenire in qualsiasi momento fino alla data dell’adunanza in camera di consiglio o dell’inizio della relazione all’udienza.
Lettera n)
A proposito dei procedimenti camerali, poi, all’articolo 391-bis c.p.c. (correzione degli errori materiali e revocazione) sono state apportate modifiche di mero coordinamento.
Lettera o)
L’intervento si pone in linea con i solleciti da tempo impartiti al legislatore dalla Corte Costituzionale in tema di possibile riapertura dei processi civili, al fine di assicurare una effettiva restitutio in integrum, ove ancora materialmente o giuridicamente possibile, se il contenuto del relativo giudicato integri una violazione dei diritti garantiti dalla CEDU, accertata dalla Corte europea di Strasburgo non suscettibile di essere ristorata tramite tutela risarcitoria (per equivalente), in linea con le statuizioni della Corte Costituzionale su questo tema (sentenza n. 93/2018 e sentenza n. 123 del 2017, riprese anche dalla sentenza della CEDU, BEG S.P.A. c. Italia del 20 maggio 2021, caso n. 5312/11). Si osserva, inoltre, che l’intervento rappresenta un ulteriore adempimento della Raccomandazione R. 2000-2 del 19 gennaio 2000 del Comitato dei ministri, che, pur non essendo vincolante, è particolarmente importante per la ricostruzione della portata della giurisprudenza convenzionale e per la sua funzione orientativa, la quale afferma che l’obbligo conformativo può «in certe circostanze» ricomprendere misure individuali diverse dall’equo indennizzo e che «in circostanze eccezionali» il riesame del caso o la riapertura dei processi si è dimostrata la misura più adeguata, se non l’unica, per raggiungere la restitutio in integrum.
Non esistendo allo stato un meccanismo processuale che consenta la riapertura del processo civile, la legge delega, al comma 10, lettera a) ha previsto l’introduzione di un nuovo caso di revocazione, limitato alle sentenze emesse all’esito del processo civile (tale essendo il campo di intervento riformatore della legge delega stessa) che, in fase attuativa, è stato declinato in un’ipotesi speciale di revocazione con proprie caratteristiche processuali che tengono conto della particolarità del rimedio. In tale prospettiva la competenza è stata concentrata sulla Corte di Cassazione, conformemente alle scelte compiute da altri ordinamenti europei che contemplano analogo istituto ed atteso il rilievo che i provvedimenti destinati ad essere interessati dal rimedio saranno tendenzialmente decisioni della Corte di Cassazione (in ragione del condizionamento della ricevibilità del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo al previo esaurimento delle vie di ricorso interne). Inoltre, la delicatezza del nuovo istituto, destinato ad incidere sulla tenuta processuale del giudicato nell’ordinamento interno, richiederà sin dai suoi esordi una costante uniformità interpretativa.
È stato pertanto introdotto l’articolo 391-quater c.p.c., il quale contiene i tratti salienti del nuovo istituto della revocazione del giudicato civile in presenza di violazioni alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo accertate dalla Corte europea che hanno provocato un pregiudizio a un diritto di stato della persona. Tale disposizione, in ossequio alle previsioni della legge delega (comma 10, lettera a)), introduce la possibilità di impugnare per revocazione le decisioni del giudice civile passate in giudicato il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli. L’azionabilità di tale rimedio è stata circoscritta e limitata alla ricorrenza di due condizioni che traducono in dato normativo attuativo la previsione della delega relativa alla necessità che, nel caso di specie, risulti “impossibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente”. In particolare, i casi in cui il rimedio risarcitorio è tendenzialmente inidoneo a rimuovere le conseguenze della violazione convenzionale sono stati individuati attraverso il riferimento alle violazioni di un diritto di stato della persona. Per questi diritti, infatti, il rimedio risarcitorio, in quanto finalizzato ad attribuire un’utilità economica alternativa, spesso si rivela non del tutto satisfattivo. La seconda condizione corrisponde all’esigenza di attuare il precetto contenuto nella delega e relativo all’insufficienza della tutela per equivalente ed al “divieto di duplicità dei ristori” attraverso il riferimento all’ipotesi in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia eventualmente riconosciuto al ricorrente l’equa soddisfazione, ai sensi dell’art. 41 della Convenzione, e questa sia ritenuta in concreto inidonea a compensare del tutto le conseguenze della violazione riscontrata.
In attuazione del principio di delega contenuto nella lettera d) del comma 10 dell’unico articolo della legge delega è stato poi previsto che il ricorso per revocazione sia proponibile nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea ai sensi del regolamento della Corte stessa, per ragioni di coerenza con il termine generale previsto dall’art. 325.
Ulteriore previsione contenuta nell’articolo 391-quater riguarda l’esito del giudizio in caso di accoglimento della domanda di revocazione e consiste nel richiamo dell’articolo 391-ter, secondo comma, giustificato dalla necessità di limitare la fase rescissoria dinanzi la Corte di Cassazione alle sole ipotesi in cui la nuova decisione sia possibile senza ulteriori accertamenti di fatto.
Con riferimento alle conseguenze dell’accoglimento della nuova forma di revocazione, in attuazione del principio di delega contenuto nella lettera b) del comma 10 dell’unico articolo della legge delega, è stata inserita nell’articolo 391-quater una previsione generale di salvezza dei diritti dei terzi, che, in buona fede, abbiano acquistato diritto sulla base della decisione giurisdizionale poi oggetto di impugnazione per revocazione. Conformemente al principio di delega è stato previsto che questa salvezza sia riconosciuta solo ai terzi che non abbiano partecipato al giudizio dinanzi la Corte europea dei diritti dell’uomo. La buona fede dovrà valutarsi anche con riferimento al comportamento dei terzi rispetto al processo convenzionale, dovendosi escludere in presenza di indici che facciano presumere negligenza o deliberata intenzione di sottrarsi alle conseguenze dell’eventuale successiva fase di revocazione del giudicato nazionale.