Lettera a)
Come si è detto nell’illustrazione del comma 26, nel sopprimere l’articolo 348-ter (in conseguenza del venir meno del “filtro di inammissibilità” in appello come era sinora conosciuto), si è ritenuto opportuno conservare le disposizioni previste dagli ultimi due commi di tale norma volte ad escludere la possibilità di proporre ricorso per cassazione per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5), nei casi di c.d. “doppia conforme”; disposizioni che tuttavia, per ragioni di coerenza sistematica, sono state spostate in calce all’articolo 360.
È stato, pertanto, inserito nell’articolo 360 c.p.c. un comma tra il terzo e il quarto, al fine di prevedere che quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado, per le medesime ragioni inerenti i medesimi fatti che sono posti alla base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione possa essere proposto solo per i motivi di cui al primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), ad eccezione delle cause per le quali è prevista la partecipazione obbligatoria del pubblico ministero. Si è volutamente aggiunta la specificazione relativa alle «medesime ragioni inerenti i medesimi fatti», al fine di meglio individuare il concetto di “doppia conforme” e restringere i casi di inammissibilità del ricorso proposto ai sensi del n. 5) alle sole ipotesi in cui effettivamente la sentenza di secondo grado abbia integralmente confermato quella del primo giudice, in quanto nella precedente formulazione la limitazione delle possibilità di tutela delle parti non trovava una ragionevole giustificazione in un reale e sensibile effetto deflattivo.
Lettera b)
Come si è accennato, parallelamente alla modifica lessicale apportata all’articolo 37, con l’introduzione della specifica considerazione del giudice amministrativo accanto al giudice ordinario e ai «giudici speciali» si sono apportate le conseguenti modifiche all’articolo 362 c.p.c. Tale norma ha subito un’ulteriore modifica per includere fra le ragioni di ricorso innanzi alla Corte di Cassazione anche il rimedio della revocazione (come disciplinato dal nuovo articolo 391-quater) avverso le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli.
Lettera c)
Una innovazione particolarmente significativa della legge delega è quella introdotta dalla lettera g), del comma 9 dell’unico articolo della legge delega, che demanda al legislatore delegato di «introdurre la possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto». In attuazione della delega è stato introdotto l’articolo 363-bis c.p.c., con la rubrica «Rinvio pregiudiziale», prevedendo – secondo le direttive di cui ai numeri da 1) a 6) della stessa lettera g) – che il giudice di merito possa disporre, con ordinanza e dopo aver sentito le parti, il rinvio pregiudiziale degli atti alla corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla corte di cassazione;
2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi.
Al fine di circoscrivere i motivi di rinvio pregiudiziale, si è previsto (analogamente a quanto richiesto per le ordinanze con cui vengono sollevate le questioni di legittimità costituzionale) che l’ordinanza di rinvio debba essere motivata, e nella motivazione il giudice debba dare conto delle diverse possibili opzioni interpretative. Il rinvio pregiudiziale comporta ovviamente che il procedimento di merito resti sospeso dal giorno in cui è depositata l’ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e di quell’attività istruttoria che non dipenda dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale, come può avvenire in caso di pluralità di domande connesse solo soggettivamente.
Si è poi previsto che il primo presidente, entro novanta giorni, valuti la sussistenza dei presupposti di cui si si è detto. In caso positivo, assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice (secondo le ordinarie regole di riparto degli affari tra l’una e le altre) per l’enunciazione del principio di diritto; in caso negativo, pronuncia decreto con cui dichiara l’inammissibilità della questione. Stante il presupposto della rilevanza della questione, poi, si è previsto che la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronunci in pubblica udienza con la requisitoria scritta del pubblico ministero, e con facoltà per le parti di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’articolo 378. Con la sentenza che enuncia il principio di diritto o con il decreto che dichiara inammissibile la questione, infine, la Corte dispone la restituzione degli atti al giudice a quo.
Il principio di diritto enunciato dalla Corte, per espressa previsione della legge delega, è vincolante tanto nel procedimento nell'ambito del quale è stata rimessa la questione quanto, nel caso in cui questo si estingua, nel nuovo processo in cui venga proposta la medesima domanda tra le stesse parti.
Lettera d)
L’articolo 1, comma 9, lett. a) della delega chiedeva di «prevedere che il ricorso debba contenere la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa e la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione». Il riferimento testuale è dunque ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c., che indica il «contenuto del ricorso» per cassazione.
Dai precetti contenuti nella legge delega, inoltre, il legislatore delegato ha tratto fondamento per una migliore esplicitazione del n. 6, che possa servire anche di ausilio alla corretta redazione del ricorso.
Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito: il motivo del ricorso per cassazione richiede una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’articolo 360. Il precetto generale posto dall’articolo 366 indica dunque il “modello” del ricorso per cassazione: il codice di rito vuole che il ricorso contenga tutto quanto occorre al giudice di legittimità per comprendere la questione di diritto portata al suo esame. Ciò, allo scopo di permettere al giudizio di cassazione di pervenire alla decisione effettiva dei motivi, assicurando la piena ed effettiva tutela del diritto di difesa delle parti. A tale intento servono le prescrizioni redazionali, previste dall’articolo 366, quali requisiti di forma-contenuto di ammissibilità del ricorso e dei motivi; donde le esigenze di chiarezza espositiva e di completezza, che la legge delega ha voluto accentuare, ai detti fini.
La vigente disposizione di cui all’articolo 366 c.p.c., al primo comma, n. 3), prevede «l’esposizione sommaria dei fatti della causa». La legge delega indicava di precisare il requisito della «chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa». Il decreto, pertanto, richiede «la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso». Fermo restando che l’esposizione dei fatti sostanziali e processuali della vicenda va operata dal ricorrente in quanto funzionale alla stessa comprensione dei motivi e valutazione della loro ammissibilità e fondatezza, si è voluto in tal modo porre l’accento, in maniera esplicita, sui due requisiti: la chiarezza, riferita al modus della narrazione dei fatti, che devono risultare intellegibili ed univoci; la essenzialità, riferita al quid e al quantum dei fatti, affinché il motivo esponga tutti e solo i fatti ancora rilevanti per il giudizio di cassazione, in quanto indispensabili alla comprensione dei motivi contenenti le censure al provvedimento impugnato, ritenendosi in ciò ribadito anche il concetto di sommarietà (ossia, per riassunto e sintesi). Non si è ritenuto di precisare che si tratta dei fatti sostanziali e dei fatti processuali rilevanti in giudizio, in quanto implicito già nella precedente formulazione.
La disposizione di cui al n. 4) dell’articolo 366, primo comma attualmente in vigore onera il ricorrente di enunciare «i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis». La legge delega chiede di prevedere «la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione». Il decreto così dispone: «4) la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano». Il giudizio di cassazione è a critica rigidamente vincolata e delimitata, in cui i motivi hanno la funzione di porre questioni (da quaerere), che costituiscono l’unico oggetto del giudizio, in quanto sostitutive delle domande e delle eccezioni. Il ricorrente ha dunque l’onere di individuazione del motivo – nel novero di quelli elencati nella disposizione – che deve essere in modo chiaro riconducibile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dall’art. 360 c.p.c.: il vizio denunciato deve rientrare in una delle categorie logiche ivi previste, quali ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. La corte di cassazione deve poter agevolmente individuare il vizio denunciato, sulla base delle chiare enunciazioni in fatto ed argomentazioni giuridiche svolte dal ricorrente. A questo fine, il legislatore delegato ha richiamato i requisiti della chiarezza e della sintesi, fra di loro indubbiamente collegati, ma autonomi: un testo chiaro si rende univocamente intellegibile, laddove la sinteticità evita ripetizioni e prolissità, esse stesse foriere del rischio di confusione. Si è colta, altresì, l’occasione per sopprimere l’inciso «secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis», non più attuale.
Il n. 6 è stato introdotto, come è noto, dall’articolo 5 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006, in quanto il precedente testo dell’articolo 366 c.p.c. conteneva solo i primi cinque numeri. La previsione, che la delega ha inteso ulteriormente specificare, è espressione del principio di idoneità dell’atto processuale al raggiungimento dello scopo, di cui all’articolo 156, comma 2. Il testo attuale richiede da parte del ricorrente «la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda». Quale ausilio alla migliore redazione e chiarezza, il testo viene così modificato: «la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda, e l’illustrazione del contenuto rilevante degli stessi». A questa disposizione va correlato l’articolo 369, n. 4, non modificato, secondo cui in sede di deposito del ricorso devono essere prodotti gli atti e i documenti su cui esso si fonda. Il legislatore delegato ha mirato così a chiarire che ciascun motivo deve fare riferimento al documento ad esso inerente e che il contenuto di detto documento deve essere richiamato nel motivo, ai fini della sua comprensibilità. In tal modo, il ricorrente è messo in condizione di cogliere l’onere di evidenziare il contenuto dell’atto rilevante, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini.
La legge delega n. 201 del 2021, all’articolo 1, comma 16, lett. a), prevede, anche nei procedimenti dinanzi alla Corte di cassazione, che «il deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore abbia luogo esclusivamente con modalità telematiche, o anche mediante altri mezzi tecnologici». Il legislatore delegato è, quindi, chiamato a porre, anzitutto, la regola del deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte anche nel giudizio di legittimità, quale innovazione che richiede, però, in un’ottica di razionalizzazione del processo civile (articolo 1, comma 1, della legge delega), di rendere massimamente coerente la disciplina del giudizio di legittimità a quella del processo civile telematico.
In quest’ottica, sono stati eliminati i commi secondo (elezione di domicilio fisico in Roma) e quarto (comunicazioni di cancelleria e notificazioni tra avvocati) dell’articolo 366 c.p.c. Ora il ricorso introduttivo (come il controricorso) non deve più contenere l’elezione del domicilio presso un luogo fisico, essendo previsto soltanto quello digitale risultante dai pubblici elenchi di cui all’articolo 16-sexies del d.l. 179 del 2012. Non ha, poi, ragione di essere mantenuta una disciplina specifica per il giudizio di legittimità delle comunicazioni a cura della cancelleria e delle notificazioni effettuate tra gli avvocati ai sensi della legge n. 53 del 1994 – oggi sostanzialmente equiparate sotto il profilo del loro contenuto e delle modalità di trasmissione –, dovendo essere effettuate esclusivamente a mezzo della posta elettronica certificata, sempre nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
Lettera e)
L’adeguamento delle disposizioni sul giudizio di legittimità al deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte ha comportato l’eliminazione di ogni riferimento al deposito «in cancelleria», quale precisazione modale coerente con il deposito analogico degli atti e documenti di parte, ma non rispetto al deposito telematico, per cui l’atto o documento digitale (nativo o meno) va inserito, per l’appunto, nel fascicolo informatico e si rende visibile alla controparte processuale costituita in giudizio o a chi intenda costituirsi o intervenire nel giudizio stesso (articolo 27 d.m. n. 44/2011). Tale soppressione ha interessato l’articolo 369 c.p.c. (deposito del ricorso).
Inoltre, la obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e la previsione (disciplinata in via regolamentare: articolo 27 d.m. n. 44/2011) della piena disponibilità per la controparte processuale degli atti depositati telematicamente hanno consentito di operare importanti modifiche, nel segno della semplificazione, speditezza e razionalizzazione del giudizio di legittimità, pur sempre nel rispetto della garanzia del contraddittorio (articolo 1, comma 1, della legge delega). È stato soppresso l’ultimo comma dell’articolo 369, facendo, quindi, venir meno l’onere del ricorrente di chiedere, con apposita istanza, alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria della corte di cassazione.
Lettere f), g) e h)
È stato eliminato l’obbligo della notifica del controricorso (articolo 370 c.p.c.), della notifica dello stesso ricorso incidentale nel caso di notifica di ricorso per integrazione del contraddittorio ex articoli 331 e 332 (articolo 371 c.p.c.) e della notifica del controricorso al ricorso incidentale (articolo 371): incombenti che non si rendono più necessari una volta che tali atti, depositati telematicamente e quindi inseriti nel fascicolo informatico, si rendono, per l’appunto, consultabili dalle altre parti. Il termine per il deposito del controricorso, del ricorso incidentale e del controricorso al ricorso incidentale è fissato in quaranta giorni dalla notificazione del ricorso, quale termine che somma i due termini di 20 giorni, rispettivamente previsti per la notifica e, quindi, per il deposito del controricorso dall’originaria formulazione dell’articolo 370; quaranta giorni ribaditi anche dall’originaria formulazione dell’articolo 371.
Nella medesima logica, è stato eliminato l’obbligo di notificare alla controparte l’elenco dei documenti depositati ai fini dell’ammissibilità del ricorso o del controricorso, ai sensi dell’articolo 372 c.p.c. Tuttavia, per meglio garantire il contraddittorio e consentire al collegio di prendere previa e adeguata conoscenza dei documenti è stato previsto un termine per l’effettuazione di detto deposito di 15 giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.